di Luigi Piandello
Libero adattamento e Regia di Roberto Giglio
ENSEMBLE VICENZA TEATRO
con
Tierry Di Vietri, Claudio Manuzzato, Irma Sinico, Roberto Giglio
Cecè è una commedia scritta nell'estate del 1913 quando Pirandello si trovava a Girgenti per stare vicino alla moglie Antonietta. La prima rappresentazione si ebbe il 14 dicembre del 1915 a Roma al Teatro Orfeo. La commedia narra, in maniera insolitamente comica per lo stile del drammaturgo, la storia di un viveur, Cecè, capace di imbrogliare la gente senza farsi alcuno scrupolo. Un umorismo quindi che si potrebbe definire cinico per il sottofondo di situazioni ambigue ed immorali da cui si sviluppa. È la Roma dell'Italietta, la Terza Roma, protagonista di scandali e corruzione politica, lo sfondo sociale su cui si svolge la vicenda di Cecè, tipico esemplare di quel mondo parassita di clientele politiche che ormai, per abitudine e cinismo, non era nemmeno più avvertito come immorale. Con spudorata allegria, Cecè imbroglia sia il commendator Squatriglia, che per i suoi loschi traffici di appaltatore, è venuto a ringraziarlo per un favore ottenuto, sia Nadia, una giovane dai facili costumi, che possiede delle cambiali dell'imbroglione che con una serie di stratagemmi riuscirà a riprendersi.
L'uomo dal fiore in bocca è un perfetto esempio di un dramma borghese nel quale convergono i temi dell'incomunicabilità e della relatività della realtà. Fu rappresentato per la prima volta il 24 febbraio del 1922 al Teatro Manzoni di Milano. È un colloquio fra un uomo che si sa condannato a morire fra breve, e per questo medita sulla vita con urgenza appassionata, e uno come tanti, che vive un'esistenza convenzionale, senza porsi il problema della morte., questa sua situazione lo spinge a indagare nel mistero della vita e a tentare di penetrarne l'essenza. Per chi, come lui, sa che la morte è vicina, tutti i particolari e le cose, insignificanti agli occhi altrui, assumono un valore e una collocazione diversa. L'altro personaggio è un avventore del caffè della stazione, dove si svolge tutta la scena; un uomo qualsiasi, che la monotonia e la banalità della vita quotidiana hanno reso scialbo, piatto e vuoto a tal punto che il dialogo tra lui e il protagonista finisce col diventare un monologo, quando quest'ultimo gli rivela il suo terribile segreto:« Venga... le faccio vedere una cosa... Guardi, qua, sotto questo baffo... qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo... più dolce d'una caramella: - Epitelioma, si chiama. Pronunzi, sentirà che dolcezza: epitelioma... La morte, capisce? è passata. M'ha ficcato questo fiore in bocca, e m'ha detto: - «Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!».