Zo Centro Culture Contemporanee
Catania
martedì 5 e mercoledì 6 aprile 2016 ore 21.00
Un amore di famiglia
il nuovo spettacolo di Statale 114
con Elaine Bonsangue e Roberta Raciti
testo e regia di Salvo Gennuso
Aiuto regia Sade Patti
scene Salvo Gennuso
regia luci Segolene Le Contellec
direttore tecnico Aldo Ciulla
oggetti di scena Salvo Pappalardo
foto di scena Gianluigi Primaverile
organizzazione Silvio Parito, Centro Zo
hanno collaborato alla realizzazione della scena Raffaella D'Amico, Silvio Zanin.
Un amore di famiglia è uno spettacolo sul femminile. E forse sulla famiglia. Sul fallimento della famiglia e sul valore del sangue. E' uno spettacolo sullo sguardo. Sulla responsabilità: la responsabilità d'essere attori, d'essere spettatori. E' uno spettacolo in cui due donne, chiuse in una solitudine che opprime, si scoprono una nello sguardo dell'altra, e fatti fuori tutti gli elementi del maschile, finiscono per amarsi, per fare l'amore in scena. Provocazione? No, evidenza e necessità.
Un amore di famiglia non parla più solo di famiglia, di amore, di sesso, cose che occupano la vita di tutti noi in maniera preponderante: finisce col parlare di "sconfinamento", di abbandono di un territorio. Perchè ogni territorio abitato è una storia. Ma... Abbiamo tutti un territorio? Abbiamo tutti la possibilità di sconfinare da quel territorio? Abbiamo storie da raccontare? Da rappresentare? Vale la pena raccontarle? Rappresentarle. Storie private? Ma se sono private, che storie sono? Nessuna di questa domanda mi è sorta quando ho deciso di mettere in scena Un amore di famiglia.
Non le domande, neppure le risposte. Le risposte non le ho neppure adesso, rimangono le domande. Allora tento di disegnare anche io un territorio, al fine unico di poterne sconfinare. Perché oggi, quando scrivo questa nota, penso che il motivo vero di questa messa in scena sia il tentativo di “dislocare”: porre fuori sesto, fuori asse, fuori casa, in un altrove, un insieme di segni che mi dia la potenza di un’immagine che si consolida nel corpo di due donne che finiscono col fare l’amore. E lo fanno in pubblico, perché l’amore non è un fatto privato, nonostante lo si pensi. Le storie d’amore sono un fatto privato, ma l’amore fra due donne, forse l’amore in generale, è un fatto pubblico che ci interroga sui motivi del suo esplodere e territorializzarsi, che si genera nel suo farsi paesaggio e confine. Ma cosa vuo dire fare l'amore? E per due donne, cosa significa, in una società che si definisce libera e più spesso si scopre borghese e puritana? Nei fatti ci sono dei segni a terra che dividono lo spazio. Lo assegnano. E ridefiniscono uno spazio vuoto, o comune, uno spazio dove si vive in assenza o ci si dissolve in presenza.
C’è un paesaggio che si forma ed è il paesaggio del divenire donna, e un paesaggio che scompare che il paesaggio maschile; non del divenire maschio, ma del maschile. Un maschile che crea il suo territorio con la violenza, stuprando, generando spazi inoccupati, inoccupabili, nei quali la presenza femminile è vassallare, ancellare, e non produce mai sortite fuori di sé, fuori dal sé. Non mi interessano più da molto tempo queste storie di violenza. Le storie di Uomini. Mi interessa il modo in cui il femminile diviene tale, il modo in cui il femminile si afferma in una dinamica attiva non con la storia, ma con il presente.
Creando uno spazio, negandolo. Dislocando il proprio corpo, che è l’unica maschera che abbiamo per parlare di anima. Ridurre allo stato zero il maschile, creare uno spazio di divenire femmina, viverlo come se fosse storia, e abbandonarlo per un presente che nega la storia, nega la negazione, vive di un fatto nuovo a cui non sappiamo dare nome. Negare per trovare un altro luogo. Liberarsi. Per poi esplodere in un atto d’amore che ci riguarda tutti, che ci interroga tutti, che ci rende complici e partecipi. Perché essere spettatori rideventa essere partecipi, far parte del dramma e della storia, in modo impercettibile. Nessuna incursione questa volta fra il pubblico. La parete che ci separa dalla scena c'è e non è violata, se non dalla sguardo. Come vorremo, questa volta, che fosse il pubblico a violare lo spazio della scena.