Un monologo di e con Alessandro Anderloni
IL PRETE DEI CASTAGNARI
storia di un uomo libero
«Ribelle, matto, strano, scomodo, provocatore, solitario, anticonformista, disobbediente, controcorrente, genio, barbone. Prete scienziato, prete eremita, prete operaio, prete anarchico, prete salvègo, don Dinamite. Quello che aveva fatto esplodere la canonica. Quello che aveva risposto per le rime al Vescovo. Quello che aveva sparato al quadro di Mussolini.»
Chi era don Alberto Benedetti? Nell’Isba, la casa che aveva costruito con le sue mani a Ceredo sui Monti Lessini Veronesi dov’era nato e visse, aveva raccolto quattromila libri. Ricercatore poliedrico e artigiano sopraffino, dedicò un’intera vita allo studio della montagna e dei suoi abitanti. Come Faust, si appassionò più alla storia naturale che alla teologia. Frugò i depositi ossiferi dei Monti Lessini alla ricerca delle tracce degli “omuncoli artigiani”. Percorse in solitudine la Germania, inseguendo le tracce degli antichi progenitori cimbri.
Nel monologo di Alessandro Anderloni, tratto dall’omonimo libro Il prete dei castagnari (Bussinelli Editore) il racconto della vicenda umana di don Alberto Benedetti (1911-1997) si intreccia con quello della storia del Novecento sulle montagne di Verona, a cavallo della Seconda Guerra Mondiale che segnò una svolta nella sua vita. Dopo i bombardamenti su Verona, meditando sull’ingiustizia, i soprusi e gli imbrogli di una società di cui non condivideva le regole, decise di ritirarsi sulle sue montagne, predicando incessantemente contro le angherie dei potenti e per la pace tra gli umani e con il Creato. Pagò di persona il coraggio delle sue idee. Lo etichettarono in molti modi. Cercò soltanto di essere un uomo e un prete libero.